Emptiness

Il vuoto delimita i tuoi confini, definisce i tuoi tratti, ti assegna un’identità.

Come lo squarcio che si crea nello stomaco quando hai voglia, quando hai caldo e una mano bagnata sfiora la tua schiena, quando i limiti fra lingue, labbra e denti si aggrovigliano.

Quelle mani sui fianchi battono tempi sempre uguali, la voce si spezza in gola, sussulti quando ti manca l’aria. E i secondi passano, riempiendo vuoti.

Il tempo è vuoto. Lo spazio è vuoto. La vita porta con sé il nulla.

E a riempire il vuoto ci vuole un minuto, a liberarsi dalla colpa un’eternità.

Il tempo si ferma soltanto durante un pompino, fatto bene.

Chissà se c’è un angolino dove sentirsi al sicuro, dove tornare a respirare.

Dov’è che non si prova più paura? Dov’è che non si sente più la colpa?

Dove digerire le emozioni? Dove tutto scende giù, per sempre?

Non so più scrivere, non so più pensare, non so più come creare parole, belle come grandiosi monumenti innalzati al cielo.

Fuggo, in corsa contro il tempo. Il tempo, uguale a sè stesso, perennemente dilatato. Ma non riesco a sentirne il battito rallentato. Sembra solo un ticchettìo veloce di unghie su un tavolo, ore che sembrano secondi, giorni irriconoscibili che portano sempre allo stesso epilogo: e se tutto questo dovesse finire?

Il tempo si ferma soltanto durante un pompino, fatto bene.

Silenzio. Penombra. Occhi spalancati persi nel vuoto della memoria. Quella memoria così piena e così fragile. In quei secondi il tempo si ferma.

Se non posso respirare fammi almeno ingoiare. Fatti toccare. Fatti leccare.

Non importa chi ci sia davanti, non importa cosa mi dici. Non importano le tue parole. Stà in silenzio, ché in silenzio mi puoi soffocare. Chiudi gli occhi. Penombra. Godi. Gola. Godo.

Apri gli occhi. Solo un mucchio di capelli chino su di te. Raccoglili in una mano, intrecciali fra le tue dita, tirali lentamente, controllami, dammi il ritmo. Illudimi di volermi guardare negli occhi almeno per un secondo. Ributtami giù. Con violenza. Scoprimi il collo. Stringilo forte.

Il tempo si ferma per un attimo durante un pompino, fatto bene.

La notte è un buco nero che ingoia tutto, attimi, sperma, frammenti di stelle, secondi, melodie, bicchieri di vino.

08 – Echi di metallo

Tanto tempo fa Amy amava raccontare storie. Seduta sul letto, li guardava con i suoi grandi occhi e li incantava con le sue parole a fil di voce che rendevano le sue labbra rosse ipnotizzanti. E quando Amy scriveva le sue storie, le parole sullo schermo bianco delineavano i contorni del suo corpo che si muoveva sul lettore e gli lasciavano la magia del sapore della sua pelle in bocca.

Questo accadeva tanto tempo fa. Perché dopo un po’ l’aver raggiunto la perfezione aveva reso quelle parole vuote, per Amy. Amy raccontava le sue storie e continuava ad incantarli. Amy scriveva le sue storie e continuava ad ipnotizzarli. Ma dentro Amy c’era solo noia ed echi di orgasmi di metallo.

Quello che ad Amy non era mai piaciuto erano le richieste. Tutto ciò che è chiesto è falso e innaturale. Una ripetizione meccanica svuotata del suo senso originario. Per questo motivo ad Amy non piaceva più raccontare le sue storie, lo faceva controvoglia, ma nonostante ciò continuava ad accendere la passione negli altri.

Gli ultimi messaggi mandati a D. risalivano a più di un mese fa ed erano stati per lo più domande generali su come andava la sua vita dopo il loro ultimo incontro. Amy aveva cercato di dissolvere ogni suo tentativo di andare al sodo cambiando rapidamente argomento. Era brava con le parole ed era una brava cacciatrice. Perché in caccia come in amore, si sa, vince chi domanda e non risponde, chi studia bene la sua mossa ed è più veloce ad attuarla. E ad Amy non piaceva essere cacciata, ma cacciare. E fu proprio per questo motivo, in un tardo pomeriggio di settembre quando il sole era ancora forte, che Amy decise che era il momento giusto per cacciare.

“Vorrei raccontarti una storia, ma sono troppo stanca per farlo. Fa ancora caldo e sono distesa sul mio letto seminuda. È l’ora dell’aperitivo, ma non riuscirei a prendere nemmeno mezzo dito di Martini. Ho bevuto un tè ghiacciato per cercare sollievo e mi ritrovo con la canottierina in seta bagnata di sudore, totalmente incollata sul seno. Dimmi che almeno tu sei a mare, o in piscina, e non stai soffrendo come me.” Scrisse Amy lentamente sul suo telefonino, studiando bene ogni parola, prendendosi il suo tempo. In nemmeno un minuto ricevette una risposta. Se l’uomo è più veloce di te allora è la preda perfetta, e D. era appena entrato nel raggio di caccia di Amy.

“Sono ancora in banca, purtroppo niente mare, ma ho l’aria condizionata e sto bene. È da un po’ che non ci sentiamo. Mi manchi. Pensavo giusto a te mentre rileggevo le consegne per il collega” …. …. …. (D. sta digitando…)

“Il tuo collega carino? Inconsciamente pensavi ad una cosa a tre, ammettilo 😛 È davvero una strana coincidenza che pensi a me mentre lavori per lui” Scrisse Amy più veloce di D..

…. …. “No, sai che queste cose non mi attirano. Preferisco che tu sia solo mia. Non amo condividere il sapore della tua pelle sudata mentre siamo assieme” “Mi manchi”

“Per non dimenticare” (Amy ha inviato una foto)

“Sei davvero sudata, ma questa foto non ti fa onore. È troppo buia e non distinguo bene i contorni dei tuoi capezzoli, piccoli e perfetti. Apri la persiana e fai entrare un po’ di luce. Voglio vederti meglio.”

“Troppa luce. Mi dà fastidio, lo sai.” 

“Vorrei essere lì” “Da vicino potrei osservarti meglio in tutta la tua perfezione” “Vorrei sfiorarti la spalla mentre scivolo giù la bretella della tua canottiera. Vorrei accarezzarti lentamente il collo mentre cerco il tuo seno con le labbra. Là sì che non avrei bisogno di luce per distinguere i tuoi capezzoli, non è necessario vederti se posso averti.”

“Vieni”

“È un ordine? Sai che duro tanto, è ancora troppo presto :P” “Ho ancora un po’ di lavoro arretrato, ma tu riesci sempre a farmi compagnia con un sorriso e un’erezione anche nei momenti più noiosi” “Dovremmo organizzare un pomeriggio assieme, quando sono libero”

“Dovresti portare del vino bianco freddo e del ghiaccio. Dovremmo brindare alla nostra lunga amicizia, ascoltare della buona musica e finirci una bottiglia. Dovresti dirmi di smetterla di bere, perché mi rende gli occhi tristi”

“Si, perché con quegli occhi Amy, tu mi fai girare il mondo attorno. Non riesco a smetterla di fissarli e sentirmi ingoiato da te. Mi divori il cuore, non riesco a non baciarti con quegli occhi tristi che hai dopo che bevi”

“Non voglio smetterla di bere, come farei poi a morderti le labbra mentre mi fissi un po’ brillo senza muovere nemmeno un dito? Non devi smettere di bere nemmeno tu”

“Mi ipnotizzi Amy. Sei tu, non è l’alcol.” “Sono i tuoi occhi che mi immobilizzano mentre mi gridano di prenderti con violenza. L’alcol è solo un pretesto per incontrarti e stare assieme”

“L’alcol è un retrogusto dolce alla tua saliva” “Fa caldo. Ho sete di te” “Porgimi il ghiaccio”

“Amy non sai quanto mi fai eccitare. Meno male che sono rimasto solo, è imbarazzante quello che spunta dai miei jeans. Meno male che non c’è nessuno a vederlo”

“Io direi: che peccato, ma…punti di vista…”

“Il tuo effetto su di me” (D. ha inviato una foto)

“Aspetta” …. …. …. (Amy. Ultimo accesso alle ore 18.45)

“Ok. Sempre nel più bello scompari. Ma lo sai, ti aspetto sempre ❤️”

“Fa troppo caldo. Il ghiaccio mi dà un po’ di sollievo” (Amy ha inviato una foto)

“Cristo!” “Che bella che sei. Mi verrà un infarto qualche giorno”

“Non dire stupidate. Il caldo ti dà alla testa. Vedi che il ghiaccio si sta sciogliendo? Vieni qui accanto a me, leccami la pancia. E se il ghiaccio ti punge la lingua la mia pelle calda ti darà sollievo”

“È impossibile descrivere a parole la tua perfezione. Nemmeno le foto si avvicinano lontanamente. La tua bellezza può solo essere assaggiata, delineando i confini dei tuoi fianchi con la lingua, i tuoi capezzoli con morsi leggeri, le tue gambe con la mano, il tuo fondoschiena con il cazzo” …. …. (D. sta digitando…)

“Sali su di me. Spezzami il respiro con il tuo peso sul petto. Fammi sentire l’odore della tua pelle”

“Amy, se potessi essere lì sarei già su di te a farti mancare l’aria, mentre ti possiedo con forza, prepotentemente”

“D. fai qualcosa per me. Sbottonati i jeans e metti una mano dentro i tuoi boxer, ora! Dimmi quanto ce l’hai duro, dimmi quanto male mi faresti in questo momento se fossi dentro di me”

…. …. (D. sta digitando…)

“D. sono tutta bagnata. Dimmi quanto l’hai grosso. Ho bisogno di lui, ora. Voglio che mi squarci lo stomaco”

“Amy, è sempre più gonfio, sta quasi per scoppiare. Vorrei fartelo sentire, adesso”

“Bloccami i polsi e mettimelo in gola. Impediscimi di gridare di piacere”

(Silenzio per qualche secondo. Schermo bianco)

“Amy, ti adoro” (D. ha inviato una foto)

D. ancora estasiato andò in bagno per lavar via i segni del suo orgasmo.

Amy guardò la foto e sorrise compiaciuta. Poi cristallizzò il suo piacere non ancora concluso scrivendo il suo ultimo messaggio a D. “Un giorno ti racconterò una storia che parla di occhi lucidi e assoluzione” Poi posò il telefono, ricacciando in gola la voglia di D., paga solo di noia ed echi di orgasmi di metallo.

6 – Farfalle

“Hai mai pensato cosa provano le farfalle dopo la loro mutazione da bruchi? Hai mai pensato cosa sentono? Come vivono, così diverse, così nuove, un’altra vita?” Amy gli domandò sussurrando nella penombra tiepida di una stanza di hotel, dopo che il sole aveva riscaldato per tutto il pomeriggio le persiane socchiuse. Teneva in mano un bicchiere di tè al gelsomino che sorseggiava lentamente, aspettando che il ghiaccio si sciogliesse. Dopo ogni sorso si leccava le labbra, cercando di cancellare il sapore amaro della sigaretta da cui fumava.

Il suo discorso era quasi una riflessione fra sé e sé, il suo interlocutore non sembrava prestarle molta attenzione tanto era intento a disegnare con la matita su un foglio bianco.

Subito dopo quella domanda Amy divento improvvisamente silenziosa.

A volte alcune parole, alcune immagini, alcuni temi ricorrenti nella nostra vita spuntano fuori istintivamente, senza una spiegazione, e non vengono mai messi in discussione, né diventano spunto di riflessione.

A volte ci si rende conto improvvisamente che quelle immagini non sono state presenti nella nostra vita così, per caso. E’ quasi un’illuminazione che ci folgora, come i raggi di sole che penetravano dalle persiane quel pomeriggio e che illuminavano gli occhi di Amy, rendendoli di un verde brillante come il mare al mattino d’estate.

“Forse un tempo, quando ero un bruco, avevo dei tatuaggi come i tuoi.” La voce di Amy si era fatta più forte per attirare l’attenzione del suo interlocutore, che distolse lo sguardo dal suo disegno e replicò: “Lo pensi perché sei tanto attratta dai tatuaggi, ma non hai mai voluto fartene uno?”

“Lo dico perché sono tanto attratta dalla tua pelle, perché ho una voglia che non si sazierà mai di leccarla, di morderla, di gustarla, di sentirmi sfiorata da essa, di trovarmela addosso, quasi come se fosse mia, di scivolarci sopra, di soffermarmi sul suo odore, di provarne la sua appartenenza.”

Ogni parola di Amy risuonò lenta e umida, gonfia di desiderio come spugna intrisa di sudore.

“Ne sono lusingato”, replicò B. col sorriso sulle labbra, “resta però il fatto che mi hai paragonato ad un bruco. Sarei brutto come un bruco?”

“Il bruco è il simbolo di potenza sessuale più forte che io conosca. Rappresenta il vero uomo, il suo imporsi prepotentemente per primo. Rappresenta il fallo.

Il bruco ha pelle di seta come la tua, la tua stessa prepotenza nel voler primeggiare e la mia stessa prepotenza nel voler esistere, esprimermi, respirare.”

B. sgranò gli occhi sorpreso, non l’aveva mai vista in questa maniera.

“Degli uomini invidio questa innocenza dovuta all’esser nati per primi, la vostra leggerezza nel vivere, inconsapevoli della vostra prossima mutazione.”

“Ma stai parlando degli uomini? Sei sicura?”

“Ogni tanto mi perdo fra me e me, lo sai.”

Amy si rituffò fra le sue braccia.

B. era appoggiato allo schienale del letto, il suo corpo era forte e muscoloso, la sua pelle ambrata dal sole. Ogni disegno tatuato su di lui traduceva in immagini i suoi pensieri più inconsci, saltando, ancora una volta, ogni barriera mentale.

B. continuò a tracciare linee leggere sul suo foglio, sfumandole poi con le dita ancora un po’ umide. Amy iniziò ad accarezzargli lentamente il petto, a sfiorare con le labbra la sua pancia, a segnare i confini del suo ombelico con la lingua. Non si stancava di cercare il suo odore, non si saziava di assaggiare il suo sapore.

“E delle farfalle che mi dici? Avevi esordito parlando di loro poco fa, dopo il nostro ennesimo orgasmo.”

“Le farfalle sono come me, pesanti dentro, nonostante le loro leggere ali. Potrebbero volare, ma hanno memoria della vita passata.”

“Ma le farfalle volano!”

“Solo per un giorno, solo perché sanno quanto è breve la vita, solo perché, come me, non ne afferrano più il senso.”

Le sue parole le riempirono gli occhi di lacrime; ma nonostante la sua malinconia avanzasse sempre più dentro di lei, fino a stringerle il cuore, le sue labbra non perdevano il loro ritmo nella bramosia di voler possedere B., ancora una volta.

“Ti piacciono le farfalle per la loro consapevolezza dell’effimero?”

“Mi piacciono le farfalle perché racchiudono la potenza maschile fra la grazia di due ali femminili e colorate.” Era sempre stata un’immagine del suo doppio carattere, nata istintivamente e rafforzata da tanti segnali che nel corso degli anni aveva pian piano scoperto.

B. fermò la sua mano, mise il disegno da parte e alzò lo sguardo al cielo, con gli occhi umidi di chi ferma l’eternità in un solo istante per godere dell’infinito. La sua mano poi si spostò verso il centro del suo corpo, sul capo di Amy; le sue dita si intrecciarono con i suoi lunghi capelli rossi e si strinsero sempre più forti attorno alla testa di lei.

Amy si era zittita e concentrava ormai tutte le sue energie e tutte le sue attenzioni sul cazzo di B.. Le sue labbra lo avvolgevano completamente, la sua lingua scorreva liscia come seta tessendo con fili di saliva ricami sulla sua asta.

Per lei l’istante infinito non produceva appagamento, il suo vuoto interiore la metteva faccia al muro da sempre, ma aveva imparato a ricacciare indietro l’ansia, spingendolo su, fino in fondo alla gola.

Ancora due spinte e l’ennesimo orgasmo.

La voce di B. si fece alta nei suoi ultimi istanti di vita, prima della nuova morte.

I suoi occhi si riaprirono pochi secondi dopo, ancora sognanti.

La prima immagine della sua nuova vita fu il volto di Amy, i cui occhi sorridevano al posto delle labbra, ancora rosse per l’intenso sfregamento.

B. sussurrò a fil di voce: “Ecco, guarda cosa ho disegnato per te.” E le mostrò l’immagine di una farfalla meravigliosa, con due occhi dalle lunghe ciglia sulle ali ed un teschio sulla schiena. Un orologio stava sullo sfondo a segnare il tempo.

“Vorrei tatuartela io stesso, visto che ho capito che rappresenta il tuo mondo interiore, il tuo doppio IO, a cavallo fra i due sessi.”

Amy guardò il disegno e sorrise inaspettatamente; la sua bocca scoprì, anche se solo per un istante, ogni debolezza. “Amo le farfalle perché, come loro, sono condannata a vivere più di una vita. Come loro ricordo, muto, rivivo. In corpi differenti, in tempi differenti, in vite differenti.”

Disse ciò spingendo su con la lingua quel rigolo bianco perla che le colava da un angolo della bocca. Chiuse poi gli occhi e pensò: “Se fossi di nuovo farfalla, in una nuova vita potrei ambire ad un’assoluzione.”

Lentamente i suoi pensieri si dileguarono come gli ultimi raggi di sole che volgeva al tramonto, sfumati nei colori dell’immagine della farfalla disegnata da B..

Ed Amy si addormentò abbracciata a lui, in un sonno riparatore che avrebbe portato sollievo alla sua anima stanca solo per qualche ora.

7 – La Noia

Avviso ai lettori: La saga di Amy fa parte di un lungo ciclo di racconti molto brevi iniziato quasi dieci anni fa. Questo è uno dei tanti, o forse l’Uno dei tanti. Potrebbe benissimo esserne il primo, o l’ultimo, ma mai uno intermedio. Amy è il mio personaggio; quello che Amy vive sono vite parallele di cui nessuno più ha memoria, ma solo sbiaditi ricordi; io sono la voce narrante. È facile parlare di sè in prima persona, sbattersi su un foglio bianco alla mercè di tutti, incurante dei giudizi altrui. Quello che è difficile è leggersi dal di fuori, analizzarsi lucidamente, sottostare al proprio feroce giudizio uscendone a pezzi, ma senza uscirne pazzi.

 

Ci sono volte in cui le parole sono stonate, non hanno nulla di poetico e devono essere feroci; questa è una di quelle.

Rileggere fa star male, lascia l’amaro in bocca, dà la Nausea.

L’interno di una camera di hotel è senza identità, come chi vi abita. È il luogo giusto per spogliarsi delle proprie maschere e indossarne di nuove, quelle di una vita fa.

Amy leggeva una rivista seduta su una poltrona, con vestiti che usualmente non indossava mai nei momenti di relax. I capelli bagnati le gocciolavano su un abitino in seta troppo corto, le gambe, distese su un tavolinetto, sembravano lunghissime per via dei sandali col tacco molto alto.

Amy attendeva un uomo che non sarebbe tardato ad arrivare, suo malgrado.

Lo sapeva, sapeva che sarebbe arrivato in anticipo, così come sapeva tutto ciò che sarebbe successo. Non era difficile immaginarlo. Ma Amy conosceva ogni singola parola che lui avrebbe pronunciato. Amy sapeva guardare dentro gli uomini, o forse riusciva a parlare bene con lo sguardo, attirandoli e facendo dire loro quello che voleva sentirsi dire.

Il rifiuto di ascoltare quelle frasi era di sicuro un desiderio celato. Lo squallore di quei momenti era quello che doveva rivivere ad ogni costo, per un misterioso motivo.

Lo aveva sedotto a lungo questa volta, erano stati mesi di intenso piacere, perché Amy adorava quel gioco, ripetitivo e rassicurante come quello di un bambino che tira la palla contro un muro, e poi la riprende. Ogni singolo sguardo di Amy significava per lui “Prendimi”, tutte le volte che le sue ciglia si schiudevano su quegli occhi grigio temporale D. la immaginava a bocca aperta su di lui. Era un non dire, un immaginare, erano parole troppo forti per spiegare il desiderio, era un magnetismo incontrollabile quello che Amy suscitava.

Non avrebbe voluto mai che finisse, Amy, questo gioco di tensione, era la tensione quella che la scopriva viva e potente. Ma ogni tensione deve risolversi prima o poi, come un accordo di settima e la sua risoluzione, l’amara vita terrena lo impone; ed era questo il momento che Amy più di tutti detestava. Forse il suo odio per questi istanti non scaturiva dal sapere già cosa sarebbe avvenuto. Forse in un qualche modo aveva paura di rivivere sempre la stessa scena.

Sono convinta che Amy mettesse in atto il suo teatrino, sempre uguale, proprio per rivivere di nuovo quel momento, nonostante lo evitasse a tutti i costi. A volte, spogliarti dei tuoi vestiti non basta a lavar via le Colpe. L’acqua è troppo dolce col nostro corpo e le sue carezze non son quello che si merita.

Quando D. avrebbe bussato alla porta Amy sarebbe andata ad aprirgli, con lo sguardo sorpreso, facendo finta di non saper nulla di quello che l’attendeva. Lui l’avrebbe guardata per un piccolo istante, ancora incerto sulla sua prossima azione, e lei lo avrebbe avvicinato delicatamente a sè per salutarlo. La forte attrazione li avrebbe attirati troppo vicini l’uno all’altra; ascoltare il respiro di Amy che andava veloce lo avrebbe fatto impazzire, togliendogli ogni resistenza nel momento in cui Amy si sarebbe avvicinata alle sue labbra per sussurrargli “Ciao”. D. sarebbe rimasto in balìa del suo fascino, come impietrito, aspettando ancora un altro cenno da parte sua. Amy avrebbe fatto la prima mossa, d’altronde era il suo gioco, lei doveva iniziarlo, era sua e solo sua la scelta.

Amy avrebbe avvicinato ancora di più la sua bocca socchiusa a lui, respirandolo forte, avrebbe iniziato a mordergli le labbra, a leccargli via il sapore di menta dalla sua lingua, in modo gentile, lentamente, come solo lei sapeva esserne padrona e maestra.

Ma come già detto nessuna poesia per Amy, non oggi, non adesso, nè per l’eternità. Quello che D. le avrebbe sussurrato era “Voglio sbattertelo nel culo Amy. Voglio farti gridare di averne abbastanza, e continuare ancora quando mi chiederai di smetterla”.

Era il gioco dello schiavo che ambisce a diventare padrone, a prendersi la sua rivincita. Era il gioco della potenza femminile piegata a novanta, sotto il peso della forza dell’uomo; per D.

Era il rivivere perennemente lo squallore per scrostarsi di dosso il Peccato, era la sofferenza originaria purificatrice, che si rinnovava ancora una volta in attesa dell’Assoluzione; per Amy.

Le sue grida di piacere in quell’anonima stanza di hotel risuonavano banali come le tende bordeaux in stoffa pesante e polverosa che oscuravano le finestre. Il voler perdere la battaglia sotto i colpi sferzanti di lui era qualcosa di già provato. Il desiderio era già morto nel momento stesso in cui D. era spuntato da quella porta. Adesso era solo consapevolezza. Il corpo di Amy vibrava di piacere, avrebbe voluto continuare così per ore, posticipando il momento finale, perché se non arrivi alla fine puoi sperare che sia diversa, almeno per una volta.

E così come ogni morte porta ad una nuova vita, anche quel momento si concluse con un orgasmo feroce, animale, che riportò il sorriso e la dolcezza sul viso di D., e la disperazione nello sguardo di Amy. La sua nuova vita da farfalla non era luminosa e pura come l’avrebbe voluta, come non se la sarebbe mai aspettata.

Adesso erano solo centimetri di pelle percorsi per nulla e parole vuote. Piacere assoluto privo di un senso. L’alba della sua nuova vita era grigia e angosciante come prima, una ripetizione di atti di una commedia disperata. Adesso era di nuovo Noia.

Another kind of drug

Un’ora di sesso per dimenticare.
Ricordi.
Quando il sapore amaro in bocca bastava a fermare un temporale,
quando i ciottoli bagnati di vie sconosciute erano un’altra speranza, o solo una vendetta.
Se la vita è troppo amara,
il coraggio troppe volte non basta,
la pazienza tante volte ti lascia.
Un filo di perle nere sulle labbra come a sfiorare un sogno per poi lasciarlo andare.
Le attese sfiniscono più di orgasmi in serie su un letto di hotel.
E l’alcol non è mai troppo, o non è mai abbastanza.
I pensieri li ricacci in gola,
perché per riempire il vuoto ci sono sempre spazi bianchi.
Troppo facile,
è un cliché da ripetere all’infinito con grazia
e dolci movenze.
Soffocare.
Tirare il freno volendo accelerare,
respirare a fondo volendo soffiare.
Let me try another kind of drug.
A pupille dilatate cercare sempre il mare.
Respirare.
Una lotta violenta contro me stessa,
un volere ansimare in silenzio.
Ingoiare per lasciarsi tutto alle spalle,
in un’ora di sesso per dimenticare.
Sigarette accese al buio come lumini
su una spiaggia di non importa quale paese,
il vento fra i capelli,
occhi grigi ad aspettare.
Musica di sottofondo,
copione da disadattata sociale,
quando dai propri sbagli si impara solo a saperli riattuare.
Un’ora di sesso per dimenticare.

Dammene ancora un altro sorso

Violenza mentale, voglia di ottobre.
Affinità che mancano, desideri che si chiamano.
Credo alla comunicazione mentale, credo agli istinti a distanza.
Credo ai pensieri telepatici, credo ai neuroni corporei.
È il gioco del vedo e non posso, del voglio e non tocco, del dammi e non riesco.
Sono morsi mancati, attimi passati, gemiti spezzati.
Centimetri di pelle a lunga percorrenza, millimetri di spazio lontani anni.
Sguardi rivolti al cielo parlano di fuochi sottopelle, labbra socchiuse scandiscono nonsense sottovoce.
Dazi da pagare in cambio di condivisioni di emozioni.
Compromessi, quelli con cui non vorresti mai scenderci a patti.
Sono pusher di droghe alternative in cerca di affari, o più semplicemente pazzi e solitari nelle loro grigie periferie mentali.
La sete rende ciechi, ma…dammene ancora un altro sorso.

Di antitesi e antagonismi: come essere perfetti?

L’eterno incompiuto o la rappresentazione di una vita.
Ci sono progetti che non è il tempo che interrompe, ma la volontà di renderli vivi nel tempo.
Se potessi vivrei solo di antipasti.
Assaggio, vivo vite a metà.
Inizio, per poi non portare a termine.
Prima del culmine interrompo perché vorrei durasse in eterno.
Il frammento lo ricordo, lo immagino, lo plasmo a mio piacimento, senza che sia mai uguale, senza che sia mai inesatto.
La realizzazione invece mi rituffa nella stasi.
La noia, brutta bestia.
Interrompo orgasmi, giusto prima che giungano a termine.
Arrivo ad orgasmi godendo del piacere dell’attesa.
È l’imprevisto, il divenire, il non compiuto il motore della mia vita.
È forza generatrice, istinto, pulsione sessuale.
È quello che da dentro crea e disfa le mie voglie, i miei pensieri, le mie intuizioni.
Il fragile equilibrio mi butta a terra:
sento il sangue che scorre, il sapore dei miei morsi, la forza sui miei polsi.
Aspiro al cielo, ma la mia colpa mi riporta in vita.
Di ragione e beatitudine non ci si nutre: mi inaridisco sempre un po’ quando mi allontano dalla mia vera me.

Fino in fondo alla gola

Dita che scorrono sui tasti di un piano,
inchiostro che prende forma su un foglio
e mille appartenenze a corpi che non sono i nostri,
sinuosità, curve.
Amo la mia grafia,
è sexy quando tieni la penna in mano.
Vorrei stringerti.
La carne è devastazione,
l’alcol mi dà la nausea.
Ho mondi interi da creare
e vorrei disfare universi.
Assisto a questo spettacolo,
mi legherei io stessa.
Dov’è che vorresti disegnarmi?
Dov’è che scrivi?
Dove sono?
Perché no?
Mi chiudo troppo, non mi capiscono.
Ma non importa,
non importa mai.
Importa la carne,
i bisogni che ci inchiodano.
Non riesco ad essere spirito,
la colpa mi butta giù,
Affondami.
Sono morsi, vorrei ingoiarti.
Mi perdo alla fine del giorno,
ti sento,
Fino in fondo alla gola.

Inconsistenza

Gemiti spezzati, ci incateniamo dentro.
Ed è solo un vorrei lacci stretti sulla pelle, ma fuori sorrisi e contegno, occhi che si abbassano.
Maestra dei silenzi, ché nei silenzi ci racchiudi vite intere, labbra socchiuse, umidi solchi.
Sigarette su sigarette.
Pensieri confusi.
Ogni tanto lasci una traccia, ogni tanto un sussulto.
E i dilemmi esistenziali a ricoprire buchi, e spazi e tempi.
Semmai un giorno troverò il mio equilibrio,
semmai,
se.
È l’inconsistenza la mia seconda pelle.