Il tempo si ferma soltanto durante un pompino, fatto bene.

Chissà se c’è un angolino dove sentirsi al sicuro, dove tornare a respirare.

Dov’è che non si prova più paura? Dov’è che non si sente più la colpa?

Dove digerire le emozioni? Dove tutto scende giù, per sempre?

Non so più scrivere, non so più pensare, non so più come creare parole, belle come grandiosi monumenti innalzati al cielo.

Fuggo, in corsa contro il tempo. Il tempo, uguale a sè stesso, perennemente dilatato. Ma non riesco a sentirne il battito rallentato. Sembra solo un ticchettìo veloce di unghie su un tavolo, ore che sembrano secondi, giorni irriconoscibili che portano sempre allo stesso epilogo: e se tutto questo dovesse finire?

Il tempo si ferma soltanto durante un pompino, fatto bene.

Silenzio. Penombra. Occhi spalancati persi nel vuoto della memoria. Quella memoria così piena e così fragile. In quei secondi il tempo si ferma.

Se non posso respirare fammi almeno ingoiare. Fatti toccare. Fatti leccare.

Non importa chi ci sia davanti, non importa cosa mi dici. Non importano le tue parole. Stà in silenzio, ché in silenzio mi puoi soffocare. Chiudi gli occhi. Penombra. Godi. Gola. Godo.

Apri gli occhi. Solo un mucchio di capelli chino su di te. Raccoglili in una mano, intrecciali fra le tue dita, tirali lentamente, controllami, dammi il ritmo. Illudimi di volermi guardare negli occhi almeno per un secondo. Ributtami giù. Con violenza. Scoprimi il collo. Stringilo forte.

Il tempo si ferma per un attimo durante un pompino, fatto bene.

La notte è un buco nero che ingoia tutto, attimi, sperma, frammenti di stelle, secondi, melodie, bicchieri di vino.

Breathless Guilty

Non conosco la cura
ma allevio il dolore.
Anticipazioni di morte
sono quelle che viviamo ogni giorno,
ma rinascere ci è negato.
Anche tu
percepisci il vuoto come nebbia che ci sta tutt’attorno,
come grigio fumo che ci mangia da dentro?
Le speranze sono sottili fili d’argento
che osserviamo in lontananza,
gli amplessi sono lune nuove che ogni notte si alzano all’orizzonte.
Anche tu
ti senti implodere dentro,
in silenzio,
quella voglia mai paga
di riscrivere un nuovo giorno?
Pensare è Peccare,
stare immobili, soffrire,
negare è soffocare,
senza fiato è la Colpa.
Fermarsi al secondo gradino senza avere mai la chiave,
pregare in ginocchio guardandoti negli occhi.
L’ansia mi stringe la gola,
lacrima bianco latte sulla pelle che cola,
piena di vuoto mi squarci la pancia,
assaggerei ogni istante per provare l’eternità.
Anche tu
non resisti al brivido della dissoluzione,
anche tu
hai mai provato l’ambire ad un’Assoluzione?

Un pugno di numeri e paura

“Avrebbe dovuto concentrarsi sull’esame, ma si sa che il giorno stesso, finché non sei lì davanti a scrivere il tuo nome sul foglio è come se tutto quanto non esistesse.
La campagna che passava sullo sfondo del treno a velocità era lo scenario di una delle sue tante vite parallele.
Avrebbe voluto per un attimo fermare quel tumulto che le batteva forte in petto.

Tremava.

Avrebbe voluto essere abbracciata e dirgli che aveva paura.
La paura era fibra nervosa che le percorreva tutto il corpo, come se i numeri che componevano la sua data di nascita potessero davvero descrivere di che pasta era fatta.
Come se credere in qualcosa fosse mai potuto servire a farla stare meglio.
E i suoi pensieri andavano oltre, ad una ventina di anni prima, quando estorceva informazioni utili sulla tonalità in cui parlava in cambio di un sorriso ammiccante e nient’altro.
Uno dei suoi tanti scambi, patti sottintesi, di quelli che non avevi bisogno di parlare, ma forse solo di sperare.
E i suoi pensieri si concentravano sul presente, su fatti mai avvenuti, su quella camera tiepida in cui non c’era bisogno di stare col cappotto.
Su quell’abbraccio rassicurante in cui i silenzi parlavano di comprensione, di condivisione, di certezze;
di qualcosa in cui credere, di qualcosa in cui perdersi, di qualcuno in cui ritrovarsi.
Come se ridefinire la propria identità servisse a darle il coraggio, il coraggio di trattenere il fiato e buttarsi di testa, come se la paura di cui era fatta non fosse mai esistita.
Una voce scandiva un elenco di istruzioni.
Non sarebbe tornata alla realtà finchè non avrebbe fatto lo sforzo di ricordarsi la sequenza di numeri che formavano la sua matricola.”

Che strano quando…

Che strano, quando è più semplice andare a letto piuttosto che esser felice, chissà che vuol dire…
Stai attento, rimani in guardia, perché non sono altro che un vortice infernale: attrae, coinvolge, sconvolge;
ti lascia senza forze e senza fiato.
E poi, tutto quello che rimane, solo cumuli di foglie secche, bruciate dal sole.
Ti avverto, mi stanco presto, sono istinto, intuizione, umori;
ma ho vita breve in te, giusto il tempo di saziarmi:
del tuo stomaco, dei tuoi sguardi, delle tue labbra, della tua poesia.
E poi mille morti, ad occhi chiusi e testa indietro, mani sulle mani, curva sulla schiena.
E dopo mille morti rinascere ancora, da me stessa, ma in altri lidi.
Che strano, quando è più semplice sognare di sé piuttosto che esser felice, ma io lo so che vuol dire…

Oggi sono solo un messaggio in bottiglia, consegnato dal mare a chissà chi

Dualismi

Aver perso la rotta, la memoria, la testa.
Ricordi di cent’anni che vengono a galla gonfi dal troppo tempo passato, si decompongono sotto il sole, perdono pezzi, lettere, suoni, rimangono tronchi, sospesi a mezz’aria nella mente.
Mi mancano le parole, a volte manca pure il fiato.

Inebriarmi dell’idea di un odore non è mai stato così urgente.
Bisogno pressante di non esser più in me, necessità di andar su di giri, fuori dal binario, un’extrasistole.

Mi rigiro fra lenzuola sgualcite che sanno ancora di bucato, ad occhi chiusi compongo idee mettendo assieme note di piacere.
Immagini di labbra bussano alla mente, sussurrano dolci inviti ad uscire dal tracciato.
Ipnotiche.

Lento. Un movimento lento.
Lento mi prende e mi tiene in sospeso.
Lento mi possiede e mi tiene in controllo.
Lento mi muove e mi lascia in attesa.

Tentazioni.
Idee che non trovano la strada di casa.
Istinto.
Ragione che ha perso l’orientamento.

Fare l’amore, con le parole

Appunti, appunti ovunque. Sopra: la mia scrittura. Appunti di me, che suonano come frasi già fatte. Lascio il meglio tutto nella mente, lo lascio svolgersi da solo per non farlo finire su appunti mai portati a termine. Parole troppo banali. Razionalità che fissa i movimenti, mette colla sulle giunture.
Lascio le immagini libere di occupare la mia mente, di danzare amabilmente come piume rosa al vento.

Pensieri che creano castelli fatti di pizzo, dolci sussurri, rossi guanciali, lenzuola di seta, profumi invitanti, ricci fra le dita, calore di corpi, intrecci di gambe, voci sensuali, sapore di stelle.
Parole senza freni, che scivolano via fra labbra e collo; luci e penombre che disegnano i contorni del sogno.
Fare l’amore, con le parole.

Morbida. Salato.

Dolce. Sensuale.

Ad occhi socchiusi. Dillo più forte.

Togli tutto quello che hai addosso. Lasciami libera di immaginare.

Sussulti dall’inconscio. Grida smorzate a furia di bavagli e mani sul collo.

Respira. Parlami.

Sogna. Descrivimi.

Fare l’amore, con le parole.

Parlami. Descriviti. Scrivimi. Raccontati. Mettiti nero su bianco, pelle su pelle, fiato su labbra.
Dammi parole da sentire, da pensare.
Sussurrami. Dammi immagini.
Entrami dentro.
Dammi. Datti.

Parole, parole, lasciami parole, inondami di parole, sommergimi di parole, coprimi di parole, e dammi il tempo di rispondere alle tue parole, di gustare le tue parole, di ingoiare le tue parole.

Fare l’amore, con le parole.